La Culla
Le
fauci di Culla si spalancarono. La nube della brace si riversò nella sala
macchine, le mie narici furono invase da un odore intenso. Era l’odore del duro
lavoro, del sacrifico. Impugnai la forca e smistai le noci di combustibile
nero, il tocco delle cuspidi ne sprigionò l’alveo ardente. Se non avessi
avuto la maschera protettiva, gli spruzzi di scintille mi avrebbero strinato il
volto, rendendomi cieco per sempre.
Attesi
che i manicaretti fossero cotti a sufficienza e privati di quella membrana
protettiva corrotta dalle impurità del mondo esterno che gli uomini chiamano
pelle. Subito dopo sarebbero stati pronti per essere abbandonati all’interno
della seconda fauce di Culla, l’arteria che li avrebbe spediti direttamente nell’esofago.
Era
il mio dovere farlo, lo scopo per il quale esistevo.
La città di New
Shem giaceva come una gigantesca sella puntuta sul dorso del Behemoth. Alla
città era consentito rimanere in piedi solo finché il cuore della bestia
continuava a battere. La creatura vagava nella prateria infinita del Tiamat, la
vegetazione contaminata dai fumi radioattivi, letali per qualsiasi uomo avesse
avuto la pessima idea di scagliarsi giù dallo strapiombo ventrale (qualora non
fosse morto per la caduta). Ma la bestia, per sopravvivere, affinché l’ultima
città umana perdurasse nel tempo, aveva bisogno di sostentamento. La Culla
asserviva a questo compito dirigendo il cibo direttamente negli effluvi
liquido-gassosi del suo titanico stomaco. Ed io ero l’uomo a cui spettava
l’onere di imboccarla.
Nessun’altro
poteva farlo.
I
gusti del Behemoth erano macabri: la creatura infernale pretendeva solo anime
pure, bianche e immacolate come solo quelle dei fragili cuccioli di uomo potevano essere.
Tutti
credevano che li strozzassi, prima che gettassi i loro corpicini tra le pene
fiammanti della fornace e nell’oblio della liquefazione delle sostanze
gastrointestinali. Non ne ho mai sentito il bisogno.
I
neonati piangevano sempre. Li lasciavo morire gettandoli assieme al carbone,
abbandonandoli a una morte crudele ed inumana.
Ma era
lo scopo di Culla, il mio scopo.